MA COM’E’ BELLA LA CITTA’
di Gabriello Grandinetti
La città contemporanea è il luogo delle contraddizioni, ossimoro di attrazione e repulsione, oscillante tra infimo e sublime, essa comprende il campo d’azione di eventi per così dire estetici ma che non sempre convertono in realtà le nostre utopie quotidiane.
Nel difficile rapporto duale che declina l’etica con l’estetica a chi spetterà il compito di decifrare la regola aurea della bellezza? Quali gli uffici competenti? L’attuale assetto legislativo non contempla la “bellezza”, esso dispone regole e parametrazioni, indici e rapporti volumetrici, in breve per dirla con Pierluigi Cervellati : fissa lo statuto dei luoghi. Così, troppo spesso la qualità progettuale si identifica, tout court, esclusivamente con la conformità alle norme. In tal modo il progetto diventa un prodotto standardizzato al pari di tanti altri, non sottoponibile ad alcun arbitrato estetico. Quindi, ha ancora senso parlare di bellezza?
Alla luce del pensiero ipotecato dall’equivoco, che guarda con indulgenza all’edilizia facendola corrispondere, in senso assoluto, al grande motore della ripresa economica (soprattutto nelle regioni del sottosviluppo come ad es. la Calabria), il mercato ha avuto spesso facile gioco della qualità d’uso così per Vittorio Gregotti: esso si è impadronito dell’idea di nuovo come valore. (v. Sulle orme del Palladio) .
Volgendo uno sguardo retrospettivo alle iniziative della cosiddetta mano pubblica in fatto di interventi strutturali che riguardano la riqualificazione di aree urbane degradate e sottoposte ad emarginazione sociale , emerge come negli ultimi decenni la Programmazione dei fondi strutturali di iniziativa comunitaria PIC URBAN operasse sul piano della pianificazione strategica di quegli ambiti che vedono l’entrata in scena delle città del sud con progetti di lungo periodo variamente orientati ad accompagnare processi di coaugulazione di partenariato sociale. Chiave di volta di un consistente intervento di investimenti che hanno riguardato 118 città europee.
Delle 16 città italiane coinvolte nei programmi di recupero urbano, Cosenza è stata tra le principali destinatarie delle provvidenze finanziarie del quinquennio (’94-’99). L’antefatto infrastrutturale che ha inaugurato la stagione dei macro progetti pilota, di iniziativa comunitaria (PIC URBAN) , sarà incentrato sulla formazione del Viale Parco, l’asse viario che realizza a Cosenza l’ossatura del suo futuro inquadramento territoriale. L’arteria a doppia corsia, che include un percorso alberato ciclo pedonale, si sviluppa lungo la sede del dismesso rilevato ferroviario che in passato ha costituito una barriera antropica invalicabile col quartiere di via Popilia, segregandolo, a detta dei più, in una sorta di apartheid extra moenia.
Ma che oggi ritorna al centro di un progetto di attuazione della metro leggera di superfice Cosenza- Rende- UNICAL in previsione della cosiddetta città unica che prefigura un’imminente conurbazione con i comuni di Rende Castrolibero Montalto, debitori di una crescita demografica di saldi migratori del 39% sul trend negativo della città di Cosenza.
Com’è noto il piano URBAN coinciderà con l’approvazione della Variante Generale al vecchio Prg del ’72 nel quadro del riordino funzionale del settore orientale della città e l’attuazione di politiche inclusive di un previsto innalzamento della qualità urbana e del rilancio del centro storico che ha visto per la prima volta, dopo la diaspora degli anni ’50, un breve intervallo di visibilità sotto l’egida del sindaco Giacomo Mancini.
Al ponte di Santiago Calatrava, fin dagli esordi dibattimentali, sarebbe toccata, nel distretto di Gergeri, l’attivazione di un processo di germinazione di una promettente fertilità urbana, per effetto del riverbero del LANDMARK posto al centro della scena. Ma che ancora oggi stenta a dichiararsi sullo sfondo di uno skyline fitto di giurassiche gru, non privo di imbarazzanti scorci prospettici. Se ne può dedurre con rammarico che quel valore aggiunto costituito dall’estetismo , momento centrale dell’architettura , resti ancora una chimera.
Così, in mancanza di linee guida che richiamassero la qualità urbana in ragione della quantità, i maggiorenti del mattone hanno, fin qui, spogliato il linguaggio moderno di tutti i contenuti ideali convertendoli agli scopi praticistici della domanda e dell’offerta, in ragione di un’edilizia prêt-à-porter.
Volumi bloccati, privi di germinazioni plastiche, forme chiuse e mute spesso carenti di articolazioni spaziali quanto immemori di modulazioni luministiche, si traducono in opache espressioni del tardo prodotto di un’industria della casa che ha anteposto il profitto al bene sociale.
Così come la rimozione colpevole per l’indifferenza a una qualsivoglia reminescenza delle radici di una “Kalokagathìa”, che nella crasi della Magna Grecia saldava il bello al buono (Kalòs-Kagathòs), ha finito col deprimere un’opportunità irripetibile costituita proprio dalle risorse di quelle aree confluenti il viale Parco G. Mancini !
Queste sì, avrebbero dovuto dare impulso al nuovo che avanza, galvanizzando la Millennial Generation di architetti e il loro sincero bisogno di futuro, verso una creatività progettuale a lunga gittata tramite l’auspicata attivazione di bandi pubblici e concorsi di idee di cui si è persa però ogni consuetudine.
Mentre da alcuni decenni si assiste , sulla scena del territorio nazionale, a un cambiamento di rotta delle scelte urbanistiche all’interno delle città . Le richieste avanzate da una domanda sociale crescente di verde e di una biodiversità di spazi di qualità diffusi , trovano impulso attraverso progetti tematici di rigenerazione urbana sostenibile. Vedi il caso emblematico della nuova down town di Milano Porta Nuova, completamente rimodulata sull’area dismessa dell’ex rilevato ferroviario di 340000 mq. che ospita anche un orto botanico la cui densificazione del green sostenibile si sviluppa persino in altezza, sulle torri del Bosco Verticale.
La conseguente necessità di regolare i flussi pesanti di mezzi e persone, ha indotto diverse municipalità a ridurre la mobilità privata e quella intermodale in ragione di una accessibilità e sostenibilità mediante collegamenti di mobilità dolce, in particolare rivolti alle persone con autonomia ridotta e la formazione di piste ciclo-pedonali per attività sportive ludico motorie.
A tal proposito, tra i lavori portati a termine con successo a Cosenza, certamente il Museo all’Aperto Bilotti (MAB) costituisce il sostituto simbolico di una strada a misura d’uomo, sottratta al sistema perverso della congestione urbana e dei livelli nocivi di emissione di gas CO2. L’intermediazione filantropica della fondazione Bilotti, con le municipalità di Cosenza succedutesi negli anni, ha reso possibile la riconversione del percorso mediano della città, Corso Mazzini, in una “metafisica promenade” contrassegnata da una preziosa collezione di opere scultoree del novecento. Il Museo en plein air sovrasta, con la sua intrinseca artisticità, ogni verosimile contrasto semantico con i luoghi che caratterizzano la prima espansione edilizia del secondo dopoguerra, trascendendoli, proprio grazie alla forza coesiva della suggestiva iconicità compositiva delle fusioni in bronzo di Manzù, De Chirico, Greco, Rotella, Modigliani, Consagra…
L’isola pedonale prende le mosse dalla rarefatta stereometria dell’invaso spaziale di Piazza Bilotti, vero focus dell’evento urbano, sul cui parterre si allungano le ombre meridiane dell’installazione dei “Filosofi guerrieri”. Snodandosi lungo un percorso che non cessa di evocare col suo “assordante silenzio”, l’ossimoro di uno scampato pericolo originato da quella consuetudine che hanno i cittadini a percepirne, nell’archivio mnemonico, la persistenza di un rumore di fondo. Oggi irrevocabilmente attutito su quel labile confine tra ordine e caos .
Mentre sembra avverarsi, per effetto della bellezza dell’arte, la profezia di salvezza, se non del mondo ( vedi Dostoevskji ) almeno quella posta in essere sulla via di una riabilitazione dei nonluoghi, troppo spesso originati dalla nostra colpevole disattenzione.
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