LA  NUOVA  DOWNTOWN  DI  MILANO

LA NUOVA DOWNTOWN DI MILANO

DOWNTOWNdi Gabriello Grandinetti

Cesar  Pelli , l’architetto di cui le Petronas Twin Towers costituiscono l’epitome più lampante di un lungo iter progettuale che lo ha visto coautore con Eero Saarinen del terminal TWA del JFK Airport di New York, fa compiere un’impennata allo skyline di Milano con un nuovo grattacielo che è già un’icona del Centro  Direzionale di Porta Nuova.

Elevandosi con i suoi 231 m. sull’antistante podio circolare, ad  memoriam  di Gae Aulenti, avvolto da un peristilio di stralli  che sorreggono  pensiline fotovoltaiche,  si inserisce come un autentico Landmark nel cluster urbano dei tre Masterplan dei quartieri Garibaldi, Varesine, Isola, a firma rispettivamente di Pelli Clarke Pelli, Kohn Pederson Fox Architects e Boeri studio, lungo la direttrice di via della Liberazione.

L’intervento urbanistico che interessa la riqualificazione di un’area dismessa e degradata (ex rilevato ferroviario) di circa 340.000 mq è posto al crocevia degli assi ferroviari dell’alta velocità e  del Passante ferroviario collettore delle linee suburbane, della metro MM2, MM3 e la MM5 in corso di completamento, costituendo così il più importante snodo di movimentazione di flusso viaggiatori.

E’ prevista la creazione di un orto botanico en plein air e di un parco di nove ettari, piste e ponti ciclo pedonali, elementi centrali di una pedonalità ad ampio raggio nel contesto di  un green ecosostenibile dove la densificazione del verde si sviluppa anche in altezza sulle torri (Bosco verticale) con piattaforme  arborescenti dello studio Boeri e che il traffico veicolare circoli in prevalenza nel sottosuolo.

E’ prevedibile che il grattacielo di Pelli, oggi Headquarters del gruppo Unicredit, diventi il sostituto simbolico di una competizione economico immobiliare in netta controtendenza alla stasi recessiva. Al pari cioè di un volano anticiclico che vede impegnate in un business finanziario dai cospicui investimenti (due miliardi di euro) centinaia di imprese di produzione e forniture interpreti  attive del  redesign urbano della più vasta area cantierabile d ’Europa il cui developer è il colosso immobiliare  Hines di Chicago e il partner Hines Italia.

Con il Centro Direzionale di Porta Nuova, dotandosi di una nuova centralità urbana, Milano aspira al modello di una Downtown d’oltreoceano irta di grattacieli, ma la cui verticalità sottende l’etimo della Milano futurista intravista da Boccioni ne: “La Città che sale” . Paradigma di uno sforzo costruttivo “ usque ad coelum” che ha attraversato tutto il XX  secolo, dal grattacielo Pirelli di Giò Ponti (127m) alla torre Velasca (106m) dei BBPR passando per la torre Breda di Luigi Mattioni (117m) .

Con la sua guglia di 80m denominata “Spire” Pelli fa compiere uno scatto al suo edificio che così surclassa il breve primato del palazzo Lombardia (161m), diventando il controcanto moderno della guglia maggiore della “Madunina” (108,50m).

Il progetto ha ottenuto la certificazione LEED, Leadership in Energy and Environmental Design, che è il massimo riconoscimento in fatto di eco sostenibilità, ma non ha mancato di suscitare critiche circa le sue declinazioni tardo costruttiviste o reminiscenze storiche che, echeggiando la spirale barocca di S. Ivo alla Sapienza, interrompono il sonno di Borromini e per contro anche quello di Vladimir Tatlin che disegnò la struttura spiroidale del Monumento alla  III  Internazionale.

Non sembra esporlo più di tanto ai rischi di un’espressività consumista da Status Symbol  la riapertura del fecondo dibattito, circa le modalità di astrazione e figurazione di un design innovativo, come già avvenuto per i grattacieli di City Life di Liberskind, Hadid e Hisozaki presto soprannominati il Gobbo, lo Storto, il Dritto. Segnali di fumo di un linguaggio formale globalizzato che non riesce ancora a rimuovere l’ultimo tabù sopravissuto all’icastico “Fuck  the context” di Koolhaas che suggellava l’indifferenza dell’Architettura Contemporanea alla memoria dei luoghi.

Sebbene suggestioni prospettiche di torreggianti architetture cinquecentesche già prefigurassero  uno skyline del futuro sullo sfondo della “Crocifissione” conservata nella Pinacoteca di Brera ad opera di Bartolomeo Suardi detto il Bramantino, pittore ed architetto del Rinascimento lombardo.

Troppo spesso l’ alto grado di autoreferenzialità, rimproverato all’architettura contemporanea, non gli consente di misurarsi con il carattere per così dire emozionale, di una giacitura significante, che tenga conto degli aspetti pregnanti del sito, congruenti cioè con quell’idea dell’abitare  da cui trae origine ogni trasformazione degli assetti  spazio temporali  in cui si sedimentano i manufatti di ogni epoca. Da quì l’amnesia colpevole ai  luoghi del passato che genera la sindrome di estraneità ai nonluoghi del presente.

 Ci si domanda se il Genius Loci non sia stato definitivamente sfrattato dagli ambiti desacralizzati delle attuali location territoriali, o piuttosto se quello spirito soprannaturale custode di quell’area prossemica dove l’uomo ha fondato le sue architetture e le sue città sotto auspici astrologici, possa ancora  costituire un valido  viatico alla deriva della prassi.

 Le grandi sfide del futuro si giocano ancora sulla città, che è il fenomeno spaziale più “performante”, che costituisce l’immensa piattaforma immobiliare del business, nonostante l’architettura appaia ancora un’attività eminentemente sociale e gli architetti si fingano ancora gli apostoli di una subliminale  ideologia dell’abitare.

 Quando le città aspiravano ad una intrinseca compiutezza  morfologica, “forma urbis”, pensiamo a  Sforzinda, la città ideale disegnata dal Filarete  per il Duca di Milano, una sorta di Mandala spaziale, non dimentico di una cerchia infrastrutturale di canali navigabili .

 Si, perché Milano ha una storia di percorsi d’acqua e di comunicazioni i cui caratteri pregnanti risalgono alle idrovie del Sistema dei Navigli, impianti mirabili di ingegneria idraulica costituiti da una variegata temperie di rogge, ponti, portestagne mobili, chiuse, caditoie, draghe, bocche di presa, approdi, conche, sciostre, darsene.

Opere che hanno alimentato anche l’ingegno di Leonardo  con dispositivi di regolazione della portata e del flusso delle acque in una fiorente cultura mercantile del Ducato. La cerchia dei Navigli riforniva la città di merci e di derrate che viaggiavano sull’acqua anche per il trasporto dei marmi del Duomo “ ad usum fabricae “ provenienti dalle cave di Candoglia .

 A tal riguardo, sullo sfondo dell’ Expò 2015, catalizzata  dall’arrivo degli Skyscrapers , sorprende come questa occasione irripetibile  il cui tema centrale è : ”Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”, ad oggi, non abbia preso in considerazione la creazione di un laboratorio sperimentale permanente attraverso cui attivare il Giacimento delle risorse idriche storiche e ambientali dei Navigli, Il suo radicamento nel paesaggio  rurale e agricolo sarebbe in grado attivare  modalità innovative non solo in ambito agroalimentare per fini irrigui e coltivativi.

  Pensiamo a un Museo dell’acqua a cielo aperto in chiave contemporanea, che possa finalmente  riconnettere la città, come è avvenuto nelle trasformazioni delle  grandi capitali europee , al suo tessuto originario , un progetto di recupero che sospinga come una brezza leggera le imbarcazioni  lungo  un itinerario tematico  che ci faccia intravedere un futuro per il nostro passato .

                                                                   


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